Un 71enne di Sesto San Giovanni si è lanciato da una finestra di casa al sesto piano, dove viveva da solo in affitto, sfracellandosi sul marciapiede. L’uomo si è suicidato all’arrivo dell’ufficiale giudiziario e della polizia incaricati di eseguire lo sfratto per morosità. Ha lasciato sul tavolo un biglietto: “Non ce la faccio più”. I video girati subito dopo mostrano i soli mezzi della polizia scientifica e alcuni agenti. Nessuna folla, nemmeno un capannello, anzi non si vede una sola persona ferma a guardare, chiedere, farsi il segno della croce. L’uomo era solo in tutti i sensi. Il volontario di un’associazione di assistenza sociale ha detto in Tv che non si era mai rivolto a loro. Era un moribondo sfuggito a tutti tranne che al sistema giudiziario, che lo ha perseguitato e alla fine ha provato a buttarlo per strada. In uno Stato civile, quell’uomo ridotto in condizioni miserabili di vita, nell’indigenza e nella solitudine, pur nel cuore della pulsante e industriosa Lombardia, sarebbe stato individuato e sostenuto anche al momento dello sfratto, con la concessione di un alloggio temporaneo. In uno Stato civile non si lascia che un pensionato sfortunato debba togliersi la vita per togliersi tutti i debiti e che lasci cinque parole che nella loro essenza costituiscono la più fulminante condanna della civiltà umana e della solidarietà cristiana. Lo Stato e la Chiesa sono responsabili della sua morte ma per legge non ne risponderanno ad alcuna autorità: nemmeno alle decine di migliaia di coraggiosi e generosi cittadini pronti ad affrontare in piazza la polizia per gridare contro Israele e del tutto assenti quando si tratta di ragioni ben più vicine, impellenti, diffuse, terribili e scandalose.