«Ha senso accompagnare i giovani ad Auschwitz, se poi, tornati nelle nostre città, si tollerano manifestazioni e slogan di odio antiebraico?». Se l’è chiesto Riccardo Pacifici, ex capo della comunità israeliana di Roma in coda a quanto la ministra della famiglia Eugenia Roccella ha detto sul rigurgito antisemita fomentato da sentimenti antifascisti ai quali sarebbero ispirate le gite scolastiche nei luoghi di sterminio. Liliana Segre ha replicato auspicando anzi un dippiù di coscienza antifascista a ridosso dei viaggi di conoscenza e di formazione al lager più famigerato di Hitler. Hanno ragione tutt’e tre: Pacifici fa bene a immaginare quanti dei pellegrini laici di ritorno da Auschwitz, visitato per rendere omaggio ai martiri ebrei, si sono poi trovati in corteo a inalberare striscioni con su scritto “morte agli ebrei”. Roccella coglie nel segno quando, nello spirito di istruzione che spinge le scolaresche a conoscere la natura dell’olocausto, vede il proposito che le anima alla partenza di trovare conferma dell’elemento fascista contenuto nella “soluzione finale”. Segre ha ragione nell’augurarsi un crescente rigore civile appellandosi alla personale testimonianza circa lo storico e documentato patto scellerato stretto davanti ai forni crematori tra nazismo e fascismo.
Sono posizioni tutte fondate, che però non mettono in conto gli effetti del disposto di wokeness e cancel culture, eredi della political correctness ante era digitale di cui sono i precipitati sociali, posti in corto circuito con i loro sistemi contrari: Il No-woke movement e la Free speech. La difesa a oltranza, alla Greta Thunberg, dei diritti delle minoranze e delle minorità, espressi in un termine di origine afroamericana, si è sviluppata in statuto censorio di ogni comportamento scorretto di tipo etico, morale, sessuale, politico, civile. L’eccesso dell’osservanza delle nuove misure ha determinato una controspinta di uguale tensione e intenzione esercitata in nome di una deregulation intesa al ripristino dello status quo ante.
Intanto il dominio dei social, che costituiscono la nuova opinione pubblica, ha parallelamente imposto la soppressione di ogni atteggiamento, figura, istituzione, pagina di storia che non siano in linea con i valori emergenti dell’inclusività, della tolleranza, delle parità, visti nella specie di un fondamentalismo che, come dice Nick Cave, integrano “l’opposto della pietà” dalla old wave proposta invece da mezzo di contrasto ai torti e alle ingiustizie sociali. Sono mondi che non si possono mai fondere e che sbrigativamente vengono riferiti il primo all’ideologia di sinistra, il secondo a quella conservatrice.
Si affrontano da un lato la precettistica del woke, associata alla proibizionistica della cancel culture, e dall’altro la resilienza contro ogni forma di integralismo votato a dettare norme individuali e collettive di condotta. Mai come in questa epoca modi diversi di pensare si sono costituiti come scontro di civiltà di pensiero, entro un vertiginoso superamento dei modelli politici per divenire rivendicazioni archetipiche e fondanti di quello che sarà il futuro prossimo dell’Occidente.
E allora, come appare all’invalente occhio sociale – o come deve apparire, secondo i metri asseverativi del nuovo corso – uno studente reduce da Auschwitz e colmo degli ideali di pace, giustizia, libertà democratica uniti ai disvalori di barbarie, genocidio, pulizia razziale, che gridi in corteo contro i figli di quelle stesse persone che ha pianto? Deve, come vuole Liliana Segre, maturare una coscienza sempre più antifascista, di pari passo alla presa di maggiore consapevolezza degli orrori dell’olocausto? Così facendo si ritrova però nella condizione adombrata da Pacifici di manifestante ancipite che non può sapere contro chi e cosa sta davvero protestando. Senonché persegue nello stesso tempo logiche woke e afferma principi di cancel culture, intesi a eliminare figure e istituti passatisti che siano considerati estranei alla nuova Weltanschauung. La loro. Oppure lo stesso studente deve, ispirato dalla Roccella, dismettere i pregiudizi antifascisti con i quali muta un viaggio ad Auschwitz in una gita per vedere l’antisemitismo che professa in piazza alla stregua di una lotta contingente non contro un modo di essere ma di fare?
Le parole sono davvero pietre. Se non si desemantizzano, svuotandole dei significati che si sono storicizzati apparendo non più ripetibili ed escutibili, continueranno a produrre nuove storture e antinomie. Se una cancel culture può essere oggi benvenuta è quella che cancella le parole, come fa Emilio Isgrò. Solo partendo da questa operazione si può trovare soluzione a molte delle dispute che vanno accendendosi sul piano sociale per propagarsi in quello politico. Parlare per esempio di “genocidio” in riferimento all’aggressione israeliana della Palestina comporta un’assunzione di responsabilità delle gravi conseguenze che derivano dall’atto di alimentare discordie e disordini. Wokeness e cancel culture sottendono istanze civili che innovano profondamente il corrente modello di vita e annunciano svolte imprevedibili e di grande portata, tuttavia si servono di mezzi, ideologici e persino semiologici, che minacciano di riportarli indietro, a quel passato che vogliono spazzare.