Hamas è nato come partito di polso ed è diventato fazione di braccio. Doveva esercitare fermezza dopo le debolezze mostrate dall’Olp, ma ha finito per perpetrare violenza. La foto dei miliziani, riconvertiti momentaneamente e inopinatamente in poliziotti, che in piazza giustiziano come nazisti o talebani (“aggiustamenti” li ha chiamati Trump) oppositori detti “collaborazionisti” dimostra come non solo il gruppo al potere nella Striscia voglia tutt’altro che disarmarsi ma anche che persegue ben diversi scopi che di convivenza pacifica con Israele. Larghe frange di Hamas, quelle più radicali, sono in questi due anni cresciute nello spirito di lotta contro gli obiettivi occidentali e mentre vagheggiano di poter ripetere l’impresa eroica del 7 Ottobre, pagina di fulgido splendore nella storia palestinese, si preparano da mujahiddin o kamikaze a colpire nelle capitali mondiali non solo sinagoghe come a Manchester.
La “pace di carta” raggiunta a Sharm è vista a Gaza come una tregua, quanto mai opportuna per rimodulare le strategie, rinfoltire i ranghi, reintegrare i duemila detenuti liberati da Israele e consolidare il dominio interno. Le centinaia di migliaia di persone che hanno manifestato in Italia e altrove contro Israele e continuano a farlo, elevando la protesta a scontro con la polizia, in nome di sacri principi umanitari violati da Tel Aviv, hanno senza rendersi conto portato un sostegno alle ragioni di Hamas, che non ha mai ringraziato e che non esiterà domani a massacrare chi ha sventolato la bandiera palestinese e indossato la kefiah. L’esito sembra essere stato nella logica “pro pal” che i civili di Gaza non possono essere uccisi da Tel Aviv ma solo da altri palestinesi.
La rabbia esplosa, soprattutto da parte delle giovani generazioni, contro Israele per i bombardamenti della popolazione può essere vista come segno maturo di civiltà e di coscienza repulsiva di ogni barbarie, ma appare rivolta a obiettivi parziali e portatrice di motivazioni monche. Come ha fatto Israele, ma cominciando un anno prima, anche la Russia ha infatti infranto ogni codice umanitario attaccando l’Ucraina e compiendo sin dai primi giorni atroci massacri di civili, da Bucha a Irpin a Mariupol, senza che nessun corteo si sia mosso né in Italia né in Europa.
Si dice: tra Russia e Ucraina è guerra vera, scontro di eserciti regolari, mentre a Gaza si è avuto un esercito contrapposto a una popolazione inerme. In realtà si è assistito nella Striscia a una forma di guerriglia nella quale ad affrontare Israele sono stati terroristi – assistiti e protetti dalla popolazione – non tenuti ad alcuna convenzione bellica e capaci di tenere in ostaggio e uccidere prigionieri non di guerra, cioè soldati, ma civili anche non ebrei.
Nel paradosso di questi eventi, la Russia ha parlato di “operazione militare speciale per la demilitarizzazione e la denazificazione dell’Ucraina” ingaggiando però una vera e propria guerra, mentre Israele ha usato termini analoghi a uno stato di guerra ma in verità compiendo un’operazione di polizia in vasta scala. Ma nella coscienza occidentale i bombardamenti di Gaza sono apparsi nella forma di un “genocidio” mentre quelli sia ucraini che russi contro le fonti energetiche dei rispettivi Paesi (volti indirettamente ma decisamente a colpire le popolazioni civili, costrette a vivere in condizioni sempre più pesanti e disumane per il depauperamento di ogni risorsa) vengono percepiti alla stregua di episodi propri di una escalation militare che non sono degni di alcuna protesta pubblica.
Nella sostanza, a meno di volere prendere partito e assumere posizioni ideologiche, non più umanitarie e di coscienza (come insomma ha fatto la Flottilla che nel pretesto di portare viveri a Gaza si prefiggeva di aprire un corridoio di significato politico), i bombardamenti missilistici di Gaza e quelli con i droni delle raffinerie e delle industrie sia russe che ucraine costituiscono un atto di violenza contro l’umanità.