Dazn sotto assedio, la partita persa dell’Inter e i fischi degli utenti
(22.9.25) “Si bloccaaaa”, “Sgrana tutto”, “Mille volte meglio Sky”, “Incompetenti”, “Soldi rubati”. Un rosario interminabile di imprecazioni di ieri sera per la partita Inter-Sassuolo su Dazn, la piattaforma più cara sul mercato, tanto che la Fanzone (l’area dei commenti) è stata di colpo chiusa, impendendo agli utenti pure di lamentarsi. Qualcuno è stato bloccato, per violazione delle Linee guida, solo per aver espresso la sua opinione non su Dazn ma sulle improbabilissime maglie esibite dall’Inter, prive di ogni traccia di azzurro e di nero (“Tute mimetiche” le ha definite un telespettatore) e tali da sembrare un prestito avuto dalla Roma. Non è la prima volta che Dazn pianta in asso i propri clienti, senza peraltro fornire alcuna spiegazione, né tantomeno delle scuse, semplicemente ignorando i ripetuti guasti e considerandoli come non avvenuti. Non sarà nemmeno l’ultima.
Ammirare in gita le rovine di Gaza dalle colline israeliane
(21.9.25) Cittadini israeliani vanno sulle colline per vedere, con un potente cannocchiale messo a disposizione a pagamento, le macerie di Gaza City e assistere ai bombardamenti. Ci vanno con viveri e bibite, qualche famigliola anche con le sdraio. Intervistati da un giornalista, dicono che si godono il paesaggio. Non diversamente si comportarono Gengis Khan, Attila, Napoleone, assisi sulle alture ad ammirare le rovine delle città distrutte e dei nemici massacrati. Gli israeliani hanno le ragioni dell’odio quando sostengono che i bambini palestinesi mangiavano dolcetti il 7 ottobre e che le madri della Striscia educano i figli perché diventino martiri e uccidano ebrei. Ma non ci sono che due verità: il risultato dello sforzo delle potenze mondiali che hanno voluto lo Stato di Israele nel 1948 e l’esito del genocidio di sei milioni di ebrei annientati dai nazisti perché fornissero oggi un alibi a un altro genocidio.
Stefano Di Martino prende il pacco, anzi glielo fanno
(20.9.25) Stefano Di Martino ha pescato il pacco nero, perché gli sta andando tutto storto: il vantaggio di “La ruota della fortuna”, la profanazione della sua intimità sul web, la lite in un ristorante con la nuova fiamma. E per ultima la rapina a Milano del suo orologio di quarantamila euro. Il caso più clamoroso è quest’ultimo. Che un napoletano rimanga fregato, cioè gabbato e derubato, da due delinquentelli di strada meneghini è proprio il colmo. Per giunta con il trucco dello specchietto, inventato a Napoli e ormai noto pure ai bambini. Due tizi su una motoretta si sono accostati alla sua auto urtando di proposito lo specchietto laterale e, come al solito, chiedendogli una somma contanti come risarcimento. Ma, vedendo cosa aveva al polso il noto presentatore, hanno cambiato subito strategia, mutando la truffa in rapina e intimando di aver l’orologio. Di Martino, napoletano sì ma non cuor di leone, ha ceduto alle parole che i due fossero armati, cosa davvero molto ma molto improbabile per truffatori che non sanno che farsene delle pistole. Quanti punti ha perso nel giro di poche settimane?
Il dito puntato della Meloni contro Odifreddi
(14.9.25) Piergiorgio Odifreddi, un materialista attratto dalla massima astrazione della matematica, è stato additato dalla presidente del Consiglio Meloni al pubblico disprezzo per avere detto una cosa sacrosanta: chi semina vento raccoglie tempesta. L’assassinio di Kirk, fan esagitato di Trump e suo beniamino, è giunto al culmine di una escalation di odio sociale fomentato proprio da Trump e non solo negli Usa. In un clima di pacifica convivenza e di sereno dibattito politico non sarebbe mai maturato. Forte è stata la frase di Odifreddi in Tv, “Non è lo stesso uccidere Martin Luther King e un Maga”, per intendere Kirk, ma coincide con la sua natura di pensatore estremista e paradossale, sicché non va colta oltre l’assonanza che sottende tra King e Kirk. Più grave quanto ha invece detto, per il suo ruolo, la Meloni, che non ha capito la boutade di Odifreddi e lo ha dato in pasto ai facinorosi e agli integralisti.
Ancora con questa storia degli arancini e delle arancine?
(3.9.25) Quando cesserà questa stucchevole solfa che chi non è siciliano ripete sulla differenza tra arancine e arancini per dire quanto si distinguano Palermo e Catania? L’ultimo è il pisano Marco Malvaldi che si è impegnato in una tirata interminabile presentando un libro di Camilleri su Montalbano. Com’è possibile che le “cento Sicilie” appaiano ai continentali, anche quelli che dovrebbero essere più avvertiti, nella sola diversità maschile o femminile di un prodotto tipico? Una diversità che dopotutto i siciliani – siculi, sicani o elimi che siano – non capiscono e non vedono, perché al bar dicono “n’arancin” senza vocale finale: non troncata, ma non prevista. Perché, oltre il Faro, tutti si sono amminchiati, per dirla con Camilleri, con gli arancini/e? Ci sono termini, come “cucchiaio” e “tavolo”, che a Catania sono maschili e a Palermo femminili, ma non fanno impressione a nessuno. E comunque neppure gli arancini sono motivo di rivalità tra i due capoluoghi, diversi sì ma entrambi profondamente siciliani: non come la Pisa di Malvaldi, richiamata da lui per contrapporla a Firenze, esse sì città del tutto coscienti di essere estranee.
Sì alla partita Italia-Israele, per essere complici di Netanyahu
(2.9.25) Sembra nato un fronte a sostegno della partita di calcio Italia-Israele. Secondo il commissario tecnico Gattuso si deve giocare e nello stesso tempo si deve stigmatizzare il governo israeliano. Non è possibile. E non lo è in base a un principio di cui proprio Israele sta dando agghiacciante prova: consuma un genocidio perché imputa a ogni palestinese inerme o imparziale la presenza e la permanenza di Hamas. Allo stesso modo è da aspettarsi che ogni israeliano, compresi i calciatori, si senta nell’obbligo di contestare l’azione disumana di Netanyahu. E una partita di un Mondiale di calcio è l’occasione più ghiotta per stabilire una distanza, una diversità civile. Ma finora dalla Nazionale di Tel Aviv non è giunto alcun segnale in questo senso. Di conseguenza, così come in ogni manifestazione sportiva dal 2022 è esclusa la Russia, con il solo permesso che i suoi atleti partecipino a titolo personale, allo stesso modo non possiamo né vogliamo vedere e sentire, per giunta in Italia, Israele con il suo inno, la sua bandiera, i suoi colori, la sua sola presenza. Ferruccio De Bortoli, per ultimo, scrive che “se li consideriamo (i calciatori ebrei) responsabili di quello che sta accadendo scivoliamo in una deriva che fa torto al nostro senso di civiltà”. Al contrario invece, se consideriamo inimputabili gli israeliani che non accusino il loro barbaro governo, non possiamo che giocoforza ritenerli collusi, mostrandoci responsabili noi stessi.
Che brutta espressione “Intelligenza artificiale”
(1.9.25) L’espressione “Intelligenza artificiale” combina in forma ossimorica una proprietà naturale dell’uomo e una qualità non presente in natura. Quindi non ha un senso se non contraddittorio. “Intelligenza” è parola usata un tempo per indicare potenze straniere, quindi i loro Servizi segreti o esseri alieni, poi giochi per bambini svegli e oggi telefonini multiuso e il lavoro da casa. Diventando “artificiale” è stata promossa da aggettivo a sostantivo: un bell’avanzamento di carriera. Ma l’intera espressione, Intelligenza artificiale, mai è stata usata in termini così impropri, a dispetto della capacità umana dimostrata negli ultimi decenni di coniare neologismi. Appare peraltro autolesionistica perché intesa ad esautorare l’uomo, cosa che magari un domani avverrà. Trattandosi alla fine di sistemi software di generazione di testi, immagini e video, perché non vengono chiamati semplicemente “generatori”, come vengono detti i dispositivi che producono energia?
Trump o Putin? L’imprevedibile o il preventivabile?
(31.8.25) Chi minaccia di più la pace mondiale? Uno come Trump che decide cosa fare di giorno secondo come ha passato la notte o uno come Putin la cui volontà e i cui scopi sono chiarissimi? Insomma fa più paura un orso grande e incombente o una entità invisibile di cui senti vicina la presenza? Gli equilibri sulla Terra sono affidati a uomini con le peggiori intenzioni e ad altri che non ne hanno alcuna. Un presidente degli Stati Uniti che toglie la scorta alla moglie di un suo ex parigrado solo per avere scritto un libro di successo ma non gradito costituisce un pericolo di gran lunga maggiore di un nuovo zar che vuole ricostituire con la massima brutalità la Grande Russia. Tra Scilla, che è un mostro, e Cariddi che è un gorgo naturale, Ulisse sceglie Scilla perché è preferibile combattere contro un gigante feroce ma prevedibile che contro un turbine incontrollabile e privo di istinto.
Quei bambini malnutriti offerti alla pena del mondo
(30.8.25) In televisione passano sempre più pubblicità progresso che mostrano bambini africani malnutriti, cisposi, malati, in lacrime, aggrediti dalle mosche e ripresi tuti in primissimo piano: puntano sul cuore del mondo invitato, con voce accorata e mistica, ad offrire denaro per la loro sorte. Che a vederla com’è sul teleschermo sembra proprio irrecuperabile, tale da scoraggiare ogni generosità. Ma tale anche da chiedersi perché gli operatori televisivi hanno registrato immagini così penose piuttosto che soccorrere quei bambini, ostentati per muovere alla compassione. Ma il dolore nel mondo non si risana con il pietismo. Non è il telespettatore che deve sentirsi in colpa e mettere mano in tasca. Basterebbe che ogni governo del pianeta rinunciasse a comprare un solo fucile per destinare i fondi a medicine da mandare in Africa e salvare tutti i bambini con il tracoma e altre malattie. Rivolgersi al cuore della gente e non al comune grado di civiltà e al generale spirito umanitario, di cui sono portatori gli Stati, significa non indicare mai i responsabili di questo orrore. Portarcelo in casa per scuoterci è come se, al tempo dei lager nazisti, gli ebrei moribondi fossero stati mostrati nei cinegiornali perché gli spettatori facessero qualcosa per loro.
Anche gli attori comici sono oracoli e predicatori
(29.8.25) Fa una certa impressione sentire gli attori pontificare e paupulare in lucco di grandi saggi, un po’ come atleti e calciatori parlare di politica. Il successo – e ancora di più la popolarità – muta i personaggi in personalità. Gente che si esprime appena in un italiano comune, che una volta si sarebbe detto volgare, assurge a opinion maker e predicatori la cui parola fa stato ed è ascoltatissima. È la stessa gente che la pubblicità usa come testimonial per prodotti la cui qualità è garantita dalla loro faccia. Ma crea davvero sconcerto vedere che anche i comici godono di questa posizione sociale. Ultimo Carlo Verdone, che decreta come gli attori non siano inquisitori e la cui firma in un manifesto propal, insieme a tanti altri nomi dello spettacolo, è stata richiesta e sbandierata come fondamento della causa palestinese. Prima di lui persino Pierino (Alvaro Vitali) e Fantozzi (Paolo Villaggio) sono stati trattati come guru e oracoli. Ma dopotutto, anche Rocco Siffredi e Moana Pozzi sono stati elevati allo stesso rango.
I Propal visti come antisemiti ma sono antisionisti
(27.8.25) Contestare la politica di governo di Netanyahu non è antisemitismo ma antisionismo. Non si fa razzismo, bensì civilismo, per cui si critica non l’esistenza dello Stato ebraico ma ciò che oggi è diventato. Epperò i filo-israeliani e gli israeliani stessi tendono a trasferire nella sfera semitica il risentimento mondiale per il genocidio che Tel Aviv sta perpetrando in Palestina. Vogliono fare apparire frutto dell’odio razziale la sollevazione Propal (che piuttosto nasce dall’atteggiamento antiumanitario proprio di Israele), quasi che essa sia diretta non ad affermare sacrosanti principi di civiltà ma a condannare il diritto degli ebrei a non essere discriminati. Tuttavia la presenza – o resistenza – di Hamas contribuisce ad alimentare questo atteggiamento equivoco. Il 7 ottobre non ha armato Israele e provocato la sua ferocia, è vero, perché la questione israelo-palestinese è aperta da decenni, ma il trauma che ha determinato nella coscienza popolare, soprattutto ebrea, è pari, se non maggiore, a quello che sta suscitando ora la carneficina di Gaza. Con la differenza decisiva che è venuto prima.
Sinner si sente già vecchio: “Un anno in più pesa”
(24.8.25) Iannik Sinner dice che a Cincinnati è stato costretto al ritiro per un’indisposizione ma anche perché, rispetto al successo del 2024, ha un anno in più: “A quest’età un anno pesa” ha specificato. Il tennista oggi numero uno al mondo ha 24 anni appena compiuti ed è ancora in una soglia anagrafica che non può dirsi nemmeno “piena”, eppure si sente già afflitto dall’età. Dovrebbe parlare con calma e a lungo con tennisti di larga fama come lui che hanno superato da un pezzo i 35 anni e sono ancora in attività o si sono appena ritirati: Nadar a 38 anni per esempio. L’esempio più splendido è quello di Novak Djokovic che ha 38 anni ed è ai massimi livelli mondiali. Ma ce ne sono altri, come Stan Wawrinka, che ha 40 anni, e Gaël Monfils che ne ha 38. Il nostro Sinner è certamente un grande campione ma spara idiozie con la forza dei suoi aces.
Carlo Rovelli: la guerra atomica? Solo questione di giorni
(23.8.25) Il fisico teorico Carlo Rovelli ha indossato i panni del monaco trappista ricordando al mondo che deve morire, anzi che sta per morire per via degli arsenali atomici che le Superpotenze starebbero per svuotarsi addosso. Sembra proprio questione di giorni. Sia nei suoi video sul sito del Corriere della sera che in un articolo nello stesso giornale, l’autore di “Sette brevi lezioni di fisica” è convinto dell’ineluttabile imminenza dell’apocalisse. Non spiega cosa lo induca a professarsi così catastrofista, ma è convinto che la fine del mondo è proprio all’inizio. Per fortuna dell’umanità non ci sono segnali di alcun genere che depongano per atomiche sulle rampe, anzi attraversiamo un’epoca, rispetto a quella del riarmo atomico che funestò gli anni Ottanta, nella quale più guerre esplodono e meno si pensa all’arma letale. Paradossalmente la sicurezza del pianeta sta proprio nella deterrenza: come in un saloon del West nessuno sguainava la colt se ce l’avevano tutti pronta all’uso, così oggi nessuno Stato è così folle da cominciare per primo, perché sarebbe come lanciarsi addosso un’atomica solo di un’altra marca.
Le feci di Putin, un boccone ghiotto per le spie Usa
(22.8.25) La notizia che Putin è andato in Alaska con un gabinetto personale e un raccoglitore di feci (che sembra pratica comune per i leader almeno russi e un tempo sovietici) desta interesse non tanto per i dubbi circa la salute del premier moscovita o per la constatazione che anche i capi di Stato, come i pontefici, sono mortali che vanno di corpo, quanto per la sottile logica che regola i rapporti tra Stati non proprio alleati, entro i quali la costipazione o la diarrea di un capintesta possono condizionare trattative, scenari prossimi e futuri, scacchieri di pace e di guerra. Sembra incredibile, ma le feci di Putin non solo sono state appositamente raccolte ma addirittura portate in Russia per essere, si spera, debitamente smaltite in patria. Lasciarle negli Usa avrebbe senz’altro incoraggiato gli spioni di Trump a guardare nella cacca come fanno i medici quando cercano sangue occulto nelle feci dei pazienti. Pare infatti sia convincimento diffuso che non “in vino” ma “in faece veritas”.
I funerali quasi di Stato di Baudo, personaggio e non personalità
(21.8.25) Pippo Baudo ha avuto funerali ufficiali con i carabinieri in alta uniforme, il presidente del Senato e quello della Regione. Ma non è stato una personalità, quanto un personaggio, un beniamino del pubblico e non una carica istituzionale. Ha esercitato potere, ma non è stato un’autorità. Eppure, dopo la morte, è stato trattato dai media e dalla stampa come se lo fosse, con profluvi di pagine e trasmissioni televisive dedicate. Se, come preconizzava Guy Debord, la società è diventata davvero spettacolo, si spiega tanto interesse. Che forse è nato dall’affetto del pubblico o forse dall’alta notorietà del personaggio e dal riconoscimento generale del peso che ha avuto. La sua celebrazione è stata ben maggiore di quella tributata a Umberto Eco, benché il semiologo fosse conosciuto in tutto il mondo e visto come un’autorità indiscussa. Volendo alla fine fare un confronto tra spettacolo e cultura, il primo subissa il secondo. Ma la personalità è Eco e non Baudo.
Quando Pippo Baudo sposò Katia sotto gli occhi dell’Italia
(17.8.25) Pippo Baudo ha portato il segno fastidioso dello strapotere mediatico. Ero direttore della Rtp di Messina quando sposò a Militello Katia Ricciarelli. Quel giorno in un paesino, Rometta, si sposavano un contadino e una casalinga. Aprii il telegiornale con ampi servizi sulle nozze dei due sconosciuti, corredati di schede e interviste pure ai parenti e alla gente per strada. Quello che a Militello stavano facendo tutte le altre Tv, dalla Rai in giù. Dopo, la speaker annunciò il servizio sul “matrimonio del decennio”: «Oggi a Militello Val di Catania si è celebrato un altro matrimonio: quello tra Pippo Baudo e Katia Ricciarelli. Ecco il servizio».
Ponte sullo Stretto, stavolta Buttafuoco è sicuro: si farà
(15.8.25) In un’intervista, Pietrangelo Buttafuoco accenna al Ponte sullo Stretto e per la prima volta ne prefigura la realizzazione quando – ministro Delrio e premier Renzi, comunque con governi di sinistra – si è sempre dichiarato scettico, arrivando anzi a dirsi certo che non si sarebbe mai fatto. Ora, ministro Salvini e governo di destra, dà per sicura l’infrastruttura preconizzando addirittura che tutti saranno d’accordo, come è stato per il Mose di Venezia, sulle prime osteggiato. Non si è detto né favorevole né contrario, scegliendo una posizione di comodo che gli permette di tenersi in campana: per non fare come Salvini che dieci anni fa andava dichiarando che il Ponte era un’“opera faraonica inutile”.
Il disagio giovanile? Chiedere alle istituzioni pubbliche
(13.8.25) Dopo la morte a Milano di un’anziana signora travolta dall’auto rubata dai quattro bambini dei campi Rom fermati e riaffidati alle famiglie, le indicazioni che emergono sono rivolte a dare maggiore peso alla scuola. Dove soltanto i bambini imparano però a diventare bulli e più tardi ad aggredire i professori. Allora il ripiego sarebbe la famiglia, che tuttavia è proprio molte volte la culla che scalda i delinquenti di domani. Mancando la chiesa con gli oratori di una volta, un bambino senza freni che comincia a misurarsi con la strada non può non educarsi secondo i suoi principi, ancor più se si vive in periferia e appartiene a una famiglia emarginata e in difficoltà economiche. Che fare allora? Gestire il disagio giovanile, che diventa sempre più precoce, è compito che spetta agli enti territoriali. Comuni e Regioni devono vigilare e intervenire, ma non lo fanno. In verità l’irrequietezza degli adolescenti è vecchia quanto il mondo. Se oggi è esplosa è perché sono venute meno le istituzioni nate per domarla e dirigerla.
Le radio private nazionali, un circo disperso nell’aria
(12.8.25) A chi capiti di ascoltare in auto la radio e sentire i conduttori delle emittenti nazionali (tutte milanesi e dunque ribalta per una pirotecnica coazione a ripetere i “lì”, gli “ok”, le “cose”, le “robe”, i” ragazzi”…), può farsi un’idea del perché i disc jockey di un tempo, che si limitavano a presentare i brani fornendo (come tutt’oggi continuano a fare molte trasmissioni radiofoniche Rai) informazioni sugli artisti, le correnti musicali, le tendenze, si sono mutati in petulanti e pedanti intrattenitori che paupalano e pontificano su ogni cosa, volendo dire per forza la loro e infilando peraltro vertiginosi rovescioni in italiano e crasse prove di ignoranza, quando non si lasciano andare il più delle volte a conversazioni di fronte alle quali quelle dell’ultimo bar di Caracas sono decisamente più interessanti ed edificanti. Non se ne salva una: da Radio Deejay a Radio 105, da Radio Italia a Radio 102,5, ma anche quelle romane come Rds e Kiss Kiss, sono il regnicolo di giovani saputelli e quarantenni arrivati che sembrano aver riesumato la commedia dell’arte senza però le qualità degli attori estemporanei. Vogliono fare ridere o perlomeno sorridere, quasi che la radio fosse nata come fucina di buffoni e giullari. Sono stati proprio loro ad averne fatto un circo.
Com’è bello andare a mare e fare il bagno nella pipì
(9.8.25) Tempo di mare, tempo di pipì (e non solo) a mare. “Enrico” dice la mamma dall’ombrellone al bambino “vai a fare la pipì in acqua”, quando a casa ha detto a Ernestina “Ma non perdere tempo, tesoro; stiamo andando a mare, la fai lì”. Milioni di bambini, adulti e anziani, uomini e donne, non riescono a resistere all’idea di liberarsi vescica e intestino in acqua. Si fanno scoprire nell’atto di espulsione perché assumono una posizione strana: stanno qualche attimo fermi, poi si allontanano quasi di corsa per sfuggire ai loro lasciti. Bisogna essere accorti e fare altrettanto, ma è estremamente difficile, perché così fan tutti, sicché tuffarsi significa entrare per forza in contatto con sostanze organiche infinitesimali ma decisamente presenti. Poi bisogna vederli e sentirli quando escono dal mare: “Ah, com’è bella l’acqua oggi!” sospirano giulivi e beati. Ma nessuno che gli dica, ovviamente per fatto personale: “Volevi dire la pipì, forse”.
Il Ponte dello spreco che distruggerà lo Stretto
(7.8.25) Il Ponte sullo Stretto non è solo, come dice il Pd, un folle spreco, perché è anche un oltraggio al patrimonio mitologico dell’area terracquea, scrigno atavico di miti come Scilla e Cariddi, Ulisse, Enea, Colapesce, Re Artù, Re Ruggero, la Fata Morgana, Encelado, Tifone: tutti tesori immateriali che andrebbero spazzati via, una volto avere sconvolto il loro teatro. A parte i serissimi e ancora irrisolti problemi di stabilità, verrebbero inoltre devastati gli equilibri ecologici dati dalle reme calante e montante, modificati i sedimi, distrutte le specie ittiche presenti solo nel largo Atlantico, mentre i turisti continueranno a servirsi dei ferryboat solo per fotografare il ponte più lungo del mondo. Il guaio maggiore sarà un esponenziale incremento degli incidenti stradali perché sarà incoraggiato il gommato, quello pesante soprattutto, ancor più prevedibile in considerazione dello stato di grave ritardo delle strade siciliane e calabresi, autostrade comprese. Salvini il nordista vuole costruire il Ponte facendo come i nobili siciliani del Settecento che rabberciavano la casa e lustravano la carrozza. Passerà alla storia come l’Attila del Sud. Ma lui pensa di essere Giulio Cesare.
I giovani del papa, una luce nel buio del nostro tempo
(3.8.25) Nessuna potenza, nessuna organizzazione, è capace oggi di raccogliere come la Chiesa cattolica un milione non di adulti ideologizzati e incazzati ma di ragazzi ambasciatori del futuro e testimoni di un presente fatto di fede, speranza e forse pure carità. La Giornata mondiale della gioventù è una prova di forza del consenso e della partecipazione internazionale al di là di guerre, divisioni, discriminazioni razziali, imbecilli di Stato. Questa enorme forza è tanto più potente perché alla sua base non agiscono rivendicazioni politiche. Fa mostra della sua grandezza come una luce nel buio alla quale non si può non guardare.
Impariamo dalla Kamchatka a costruire case antisisma
(31.7.25) Il terremoto in Kamchatka, il sesto più violento di sempre, non ha fatto vittime. Se fosse avvenuto in qualsiasi centro abitato italiano avremmo contato i morti a migliaia. D’accordo, la Kamchatka è terra estrema, ricca di vulcani attivi e tettonicamente vulnerabilissima, ma è pressoché spopolata se si escludono due città contigue che concentrano la quasi totalità degli abitanti. Saranno le condizioni di vita, fatto sta che sanno costruire le loro case. Che nei video diffusi tremano come foglie ma resistono come rocce. Nel paradosso che, anziché scappare, i Kamciadali hanno usato il telefonino per filmare il sisma. Non potrebbero venirne un paio da noi a insegnarci come si fa?
“M. Il figlio del secolo” in Tv, ovvero il frutto del fumettone
(30.7.25) La serie Tv in otto puntate “M. Il figlio del secolo”, tratta dal romanzo di Antonio Scurati, non avrà una seconda stagione. Lo scrittore ha parlato ovviamente di censura, senza chiedersi se la trasposizione televisiva valesse i 65 milioni finora spesi e il perché del disinteresse dei principali mercati internazionali, Usa innanzitutto. Chi l’ha vista ha goduto del fumettone, della caricatura tentata dalla macchietta, al di là di ogni nuova ricerca sulla figura di Mussolini e sulla sua epoca, cosa che comunque manca già nel ciclo letterario, che nulla aggiunge alle acquisizioni consolidate. Bisogna piuttosto chiedersi perché si insista a scrivere romanzi storici e trarrne film e serie Tv in mancanza di un solo fatto nuovo, di una scoperta che cambi la storia. Le riletture sono sempre minestra riscaldata.
I teoremi di D’Orrico su come Camilleri divenne scrittore
(29.7.25) Antonio D’Orrico è uno che al Corriere della sera vedeva un capolavoro in ogni romanzo. Un laudator senza precedenti. Chiamato dallo stesso Corriere a scrivere la prefazione (sparata oggi su due pagine del giornale) a “La forma dell’acqua” di Camilleri, ha infilato una tirata non sul romanzo, che ha ignorato, ma su come l’autore fosse diventato scrittore. Al di là del pessimo gusto di rivelare di averlo trovato a casa ubriaco, ha elencato una serie di “risposte” qualcuna comica qualche altra stupida, tutte comunque irrilevanti e indebite. Non c’è mai una vera ragione perché si scrivano romanzi. Non lo sapeva nemmeno Camilleri, che quando gli chiesi perché Montalbano avesse fatto una certa cosa mi rispose di chiederlo a lui.
La Gaza Indescrivibile di Paolo Giordano che non trova le parole
(28.7.25) Scrivendo di Gaza affamata e distrutta, lo scrittore Paolo Giordano, molto considerato dal Corriere della Sera, ha scritto che non può scriverne perché “tentare questa descrizione di Gaza è strano, riduttivo. Perché siamo oltre la possibilità di rappresentazione, fuori dalla portata massima delle parole”. Uno scrittore incapace di descrivere quanto gli viene richiesto proprio di descrivere è come un insegnante di storia che, dovendo spiegare la Prima guerra mondiale, si rifiuti per non essere capace di spiegarne l’orrore. Quello che deve proprio lui rappresentare e sapere fare.
Un cane randagio fa piangere più di uomo pulcioso
(27.7.25) Tra un vagabondo e un cane randagio i social mostrano per l’animale una sensibilità di gran misura maggiore. Il barbone è un uomo e quindi ha i pregi e anche i vizi di tutti. Ed è questo a fare la differenza. Un barboncino è invece innocente di natura, come lo sono i bambini, e anche nel caso di un molosso è visto non solo come abbandonato ma anche indifeso, per cui si è spinti a immedesimarsi: ciò che nemmeno l’uomo più pulcioso induce a fare. I post di cani maltrattati hanno migliaia di commenti. Quelli di uomini pur ridotti a larve nemmeno sono letti. Ma sia post che commenti sono di persone e non di animali. Persone che oggi celebrano la Giornata mondiale del randagio.
Tutte donne nelle telecronache di calcio femminile. È sessismo?
(23.7.25) Alla diretta televisiva della semifinale di calcio femminile Italia-Inghilterra, Raiuno ha voluto dare una caratterizzazione di genere, cosicché telecronista, commentatrice, voce di bordocampo, opinioniste di prima, dopo-partita e intervallo sono state esclusivamente donne. Un omaggio galante, che voleva essere di rispetto e di riconoscimento ma che può ben essere visto come un rigurgito sessista e un vetero atto di separazione tra maschi e femmine. Tanto più che l’intero Europeo ha contato arbitre e guardalinee donna, quando la vera “emancipazione femminile” avrebbe richiesto anche uomini, indifferentemente: nel principio che appunto non ci sono differenze. Ed è proprio curioso come nelle telecronache Rai della nazionale maschile figurino donne quali voci di bordocampo e da studio, mentre nei campionati di club non è raro vederle anche come arbitre.
La segretaria di Camilleri scrittrice della scuola vigatese
(21.7.25) Valentina Alfery, per una decina d’anni segretaria di Andrea Camilleri, ma mai presente alle interviste (almeno le mie) che lo scrittore rilasciava di presenza a Porto Empedocle, ha raccontato al Corriere della sera, che l’ha voluta intervistare come “personaggio”, di quando l’autore scomparso nel 2019, anziché continuare a dettarle perché cieco i suoi ultimi romanzi su Montalbano, la lasciava sola dicendole di completare lei il capitolo, riconoscendone evidentemente le proprie qualità letterarie, fra cui massimamente la conoscenza del vigatese (cioè?). Davvero curioso, perché Camilleri era così esclusivo da non correggere nemmeno gli errori che gli venivano segnalati. Per la mia rivista Stilos mi regalò due manoscritti inediti, in uno dei quali, “Lo stivale di Garibaldi”, scoprii che il prefetto arrivato in nave a Palermo proseguiva in treno per Agrigento quando i treni non erano ancora arrivati in Sicilia. Glielo feci notare e mi autorizzò a correggere la svista, ma nel volume Sellerio in cui poi il racconto apparve con altri lasciò l’errore rimase così com’era. Che la Alfery, oggi anche lei autrice e sedicente allieva professa della scuola Camilleri, potesse sostituire il suo datore di lavoro e scrivere addirittura in vigatese, lingua che neppure Camilleri avrebbe saputo immaginare che non fosse il suo più schietto agrigentino, è un infingimento al quale solo Aldo Cazzullo, spirito nobile e candido non nutrito da letture camilleriane, poteva dare credito.
Il geometra di Canicattì e il dinosauro Di Pietro
(20.7.25) Voghera e Canicattì sono le capitali, immarcescibili in certa mentalità italolatrica, una dell’ignoranza e l’altra dell’insignificanza. La casalinga influenzabile e incolta individuata negli anni Settanta da Umberto Eco nella provincia pavese tende nel 2025 le cime al geometra incompetente indicato da Antonio Di Pietro nel grosso paesone dell’Agrigentino. Parlando (ancora?) dello scandalo urbanistico milanese, l’ex magistrato ed ex politico ha detto che “non si possono affidare i grattacieli a un geometra di Canicattì”: per dire a un poveraccio che non capisce niente. Rivolgendosi (di nuovo?) a un altro giornalista, Di Pietro lo ha pregato di non citarlo perché non ha più voglia di fare il dinosauro. Ecco, infatti.
Zingaretti, il censore dei cattivi costumi dimentico di sé
(16.7.25) Luca Zingaretti, il Montalbano che, anche per i suoi modi spicci, aveva precedenza su tutti, pure su Raiuno, e ora, per andare in vacanza e salire in aereo, è costretto a fare la fila come qualunque cabasisaro del mondo, ha postato su Instagram un video di pochi secondi dove, camminando e con il telefonino in modalità selfie, ha fatto sapere che la moglie di un politico nazionale era appena passata davanti a tutti, con gli agenti a fare “prego, prego”. Il politico era un ministro, Adolfo Urso, che ha accompagnato la moglie e il figlio a Fiumicino, dove la sua scorta ha ritenuto che i compiti di sicurezza riguardassero tutta la famiglia, essendo stata la moglie minacciata due anni fa. Lo Zingaretti di dieci anni fa, riverito, scortato, privilegiato, osannato, celebrato e fatto passare avanti ovunque, non avrebbe mai girato un video simile.
Saviano e la vita rovinata, che però lo ha reso Saviano
(15.7.25) Roberto Saviano ha singhiozzato sulle spalle del suo avvocato alla sentenza di condanna del capoclan dei Casalesi: per poi dichiarare, ancora una volta, che gli hanno rubato la vita. Di fatto è vero, perché conduce da sempre un’esistenza sequestrata ed è umano avere una crisi di pianto. Ma farlo davanti alle telecamere diventa teatrale, come voluta. È però anche vero che Saviano avrebbe avuto un’altra vita senza la persecuzione della Camorra, cioè probabilmente quella comune di un giornalista o qualcos’altro. È diventato Saviano per avere innanzitutto scritto “Gomorra” e per avere – nobilmente, coraggiosamente – dedicato ogni impegno personale alla lotta contro le mafie. Lo sapeva che gli sarebbe costato l’isolamento e l’ha accettato. E ora fa come Achille che nell’Ade rimpiange di non essere stato pastore e recrimina di avere avuto la gloria eterna.
Dimenticando Dimitrov, Sinner campione e modello
(14.7.25) Leader politici, opinionisti infallibili, esperti tuttologi, campioni di tennis e medaglie d’oro di tiro al piccione, insomma tutta l’Italia inneggia al trionfo di Sinner a Wimbledon, indicandolo come esempio e modello anche sociale e in particolare per i giovani. I quali devono dunque sapere che si può vincere Wimbledon, come dire la Coppa del mondo nel calcio, anche se si stava per essere cacciati via dal numero 21 del rating. Il prode Sinner stava perdendo di due set contro Grigor Dimitrov – e non sembrava avere alcuna risorsa per ribaltare il risultato – quando il bulgaro si è infortunato e ha dovuto abbandonare la gara. Ci si aspettava che anche Sinner si ritirasse dallo slam, dando appunto esempio di lealtà, ancor più dopo aver detto di non sentirsi, ovviamente, il vincitore. Invece lui e tutta l’Italia hanno dimenticato Dimitrov e festeggiato la vittoria contro Alcaraz come se tutto il torneo fosse stato una marcia trionfale. Oh, che ci sia stato un solo giornalista che abbia ricordato Dimitrov.
Il vero spettacolo del tennis? Lo danno i raccattapalle
(13.7.25) La parte più bella del tennis è quella che riguarda i raccattapalle, che sono il vero spettacolo. Marziali, impassibili, imperturbabili dal gioco, sembrano automi che rispondono a comandi dettati secondo un canone studiato nelle più alte sfere del mimo artistico. Senza mai cambiare l’espressione severa del viso, comunicano con una gestualità che è di per sé una forma di danza. Si allenano ed esercitano quanto i tennisti e in qualsiasi campo del mondo osservano lo stesso stile e gli stessi codici. Sono ragazzi ambosessi e giovanissimi che mantengono nel rapporto con gli atleti un contegno di assoluta eleganza. Alla finale di Wimbledon Sinner li ha ringraziati pubblicamente. Li chiamano raccattapalle ma sono assistenti che meritano un’altra qualifica.
Influencer e faccendieri, due facce di lecito e illecito
(12.7.25) Sono influencer quanti hanno la capacità di condizionare i comportamenti altrui e guadagnano lecitamente moltissimo. Sono invece faccendieri quanti riescono a condizionare le decisioni di pubblici ufficiali commettendo però uno specifico reato chiamato “Traffico di influenze illecite”. I primi favoriscono, da mediatori palesi, i produttori, mentre i secondi avvantaggiano, da mediatori nascosti, i privati. Ma fanno pressoché la stessa cosa: influenzano altri, chi moltitudini indeterminate e chi singoli o gruppi ristretti. Se la causa di queste pratiche è il condizionamento mentale esercitato da soggetti dotati evidentemente di carisma, fascino, spirito di persuasione non si vede il discrimine tra lecito e illecito. Ma per ragioni indefinite conta l’effetto, per cui convincere milioni di persone a comprare un marchio rende ricchi e famosi, mentre convincerne una sola a prendere scelte a favore di un’altra porta in carcere. Sia gli influencer che gli influenzatori sono comunque figli di uno stesso padre, il nostro tempo.
Trump nobel per la pace? Lo vuole Netanyahu
(8.7.25) Ci vuole davvero una faccia come quella di Benjamin Netanyahu per candidare Donald Trump al premio Nobel per la pace: non tanto e non solo perché il presidente Usa non ama neppure la pace interna – con gli amici come Musk, con i connazionali di un’altra razza, con gli ex presidenti come Biden, con i giornalisti del suo Paese, con alte autorità dello Stato – ma anche perché il premier israeliano è un guerrafondaio convinto, per la Corte penale internazionale esattamente un criminale di guerra, avendo spiccato contro di lui un mandato di arresto (che non vale negli Stati Uniti, dopo il ritiro della firma dal Trattato di Roma). Sia per l’uno che per l’altro la pace è quella dichiarata da chi vince e va perciò intesa come resa del nemico, ciò che però non è affatto nello spirito del Nobel.
Come parlare di tutto e fare i sapientoni? Vedi Cazzullo
(7.7.25) Quando si pretende di essere onniscienti si finisce per apparire incompetenti. Caso classico quello di Aldo Cazzullo che passa dalla storia alla letteratura, dalla filosofia alla scienza con la stessa facilità con cui una cortigiana molto richiesta cambia letto. Il segreto del suo successo (di Cazzullo)? Trattare ogni argomento alla Angela, padre e figlio, cioè con la superficialità, il gusto del mero curioso, la semplificazione del racconto che sono gli elementi richiesti dal pubblico mass-cult. Il quale si sente molto in quando vede propinati, come fanno abilmente Angela e Cazzullo, parallelismi facili e accattivanti tra ieri e oggi oppure nozioni elementari ma comprensibili. Non è sbagliato, ma banalizzando succede che Cazzullo sia libero di scrivere nel suo bestseller “Quando eravamo i padroni del mondo” che “se oggi siamo cristiani è perché Roma diventò cristiana”: falso, perché già trecento anni prima di Costantino Siracusa, sede del primo vescovo d’Occidente, era popolata da cristiani visitati da San Paolo e San Luca. Altro falso consegnato alle migliaia di suoi ammiratori compare nello stesso libro quando scrive che “a Roma nacque l’embrione di quella che oggi chiamiamo democrazia”. La quale nasce, come sanno tutti i liceali, in Grecia. Bastava leggere “Le supplici” di Eschilo il cui re Pelasgo decide di rivolgersi al popolo se accogliere i profughi facendo valere l’alzata delle mani, “demou kratousa keir”. Ora Cazzullo si è dato ai ripassi con le sue Lezioni video sul Corriere, a esami di stato chiusi da un pezzo. E salta allegramente da Manzoni a Galilei senza alcun rossore ma con tanta supponenza. Viene in mente il principio fissato da Borges: “Ogni uomo fuori dalla propria specialità è credulo”, per dire che si può essere bravi solo in una materia. E valgono anche le parole di Charles Régismanset: «Un uomo troppo pieno di sé è sempre vuoto”.
Meglio Sinner che Putin, ecco il tempo dell’effimero
(2.7.25) Giornali online, testate cartacee e telegiornali danno sempre più spazio alla cronaca nera, allo sport e allo spettacolo, a discapito dei grandi eventi internazionali, che in questo periodo abbondano con ogni drammaticità, e della politica. Il leggero prevale sull’impegnato, l’intrattenimento sull’informazione. Trova più rilievo la sconfitta dell’Inter al Mondiale per club che un bombardamento a Gaza o a Kiev. Questi fatti continuano a tenere “l’apertura”, è vero, ma visualizzazioni e audience li fanno Garlasco, Sinner, Bezos, Lady Gaga. Da meno di un anno hanno trovato un loro posto nei grandi giornali le interviste chaise-longue, lunghe e confessionali di personaggi che rivangano soprattutto il loro passato e sono in vena di improvvise rivelazioni “storiche”. La tendenza invalente premia il pettegolezzo e penalizza sempre più la riflessione. Pare che si ottenga di più, cioè più attenzione, o meglio più like, gridando più degli altri o dicendola più grossa che parlando di cose serie. Nelle sale d’attesa la gente passa il tempo scrollando video di gags, scherzi, sketch, facezie e stupidaggini da asilo infantile. Quotidiani come Repubblica e Corriere della Sera li riprendono e postano, nella certezza di aumentare i visitatori e favorire la pubblicità. Viene oggi criticata e bocciata la stagione dell’edonismo degli anni Ottanta, ma questa dell’effimero la batte. Una seconda ondata di “riflusso” è alle viste, ma l’idea generale e ovviamente “condivisa” è di riparare non nel privato ma nel privé. Cantavano a proposito Dimartino e Colapesce: “Metti un po’ di musica leggera perché ho voglia di niente, anzi leggerissima”.
Bezos, per Crepet cattivo esempio ai giovani. E i re no?
(29.6.25) Secondo Paolo Crepet, che ama il contenimento ma prova a stare sempre in televisione e sui giornali, le nozze Bezos-Sanchez, con l’ostentazione per tre giorni di soldi e lusso, hanno offerto un pessimo esempio ai giovani. Il sociologo mediatico deplora il fatto che tanti ragazzi abbiano cercato in tutti i modi di vedere da vicino star e tycoon, stregati da tanta opulenza e magnificenza. Dimentica nozze che insieme a ricchezza e sfarzo sfoggiano anche potere: quelle di re e principi, dove la fortuna è sfoggiata ed esibita in diretta Tv, al contrario del matrimonio veneziano, che gli sposi hanno tenacemente voluto privato. La differenza è che le nozze di ogni palazzo reale costituiscono un cattivo esempio non solo per i giovani, ma anche e soprattutto per gli adulti, molto più attratti dal potere, compreso Crepet che posa a pontefice massimo. Aldo Cazzullo, dal canto suo, condanna l’espropriazione di suolo pubblico da parte di privati, dimenticando anche lui sovrani e papi che impediscono a turisti e residenti di godere delle loro città sequestrando intere capitali. Alla fine non ci sarà un pizzico di invidia, quella sì cattivo esempio per tutti?
Pollice verso alla Scuola Holden, ma sono tutte uguali
(27.6.25) La Scuola Holden di Torino, “che insegna a leggere e scrivere”, nacque nel 1994, l’anno in cui Baricco conduceva in Tv la trasmissione “Pickwick, del leggere e dello scrivere”. Il suo successo è dunque dovuto alla televisione e all’allora giovane, bello, seducente e ruffiano Alessandro. Oggi costa ventimila euro l’anno e una ex iscritta, che si è comprata l’amuleto per scrivere e lo ha lasciato in un cassetto, ha detto (finalmente qualcuno l’ha fatto) che ha buttato i suoi soldi, spesi per avere alla fine una pergamena firmata da Baricco. La Holden ha dato la stura a decine di scuole di scrittura creativa (che però costano molto di meno) fondate, dirette o riferite a uno scrittore non per forza bravo ma noto. In tutti i corsi manca però una materia: quella che dovrebbe impartire il fondamento della letteratura come dell’arte, il talento. Grandi letterati, critici, docenti, da Checchi a Debenedetti, non hanno mai pubblicato romanzi e racconti perché consapevoli di non esserne capaci. Critici d’arte celebri e celebrati come Longhi e Sgarbi conoscono la pittura ma non sanno farla. L’idea di Holden e consorelle, buona per spiriti candidi, è che uno scrittore, solo perché tale, possa insufflare lo spirito creativo in teste vuote e devote. A nessuna delle quali è però venuto in mente che i loro esimi e venali “professori”, a cominciare da Baricco, sono diventati guru e maestri senza aver mai pagato altri – ciò che sarebbe decisamente mortificante per uno scrittore, nato lui sì col dono. Scrittore che, quando pretende di insegnare a scrivere, si aspetta che i suoi allievi – o creature – gli riconoscano il merito qualora diventassero qualcuno, ancorché per gli stessi motivi che sono valsi per loro e che non c’entrano niente con scuole e soldi.
Le Lezioni del Corriere riservate agli studenti e tenute per esperti
(26.6.25) Il Corriere della sera ha avuto la geniale idea di proporre una serie di “Lezioni” in audiovideo tenute da studiosi su temi e personaggi oggetto degli esami di maturità, parlando apertamente in un titolo di “grande ripasso”. Le lezioni, più o meno riuscite (meno che più), sono rivolte dunque ai ragazzi: come se gli argomenti filosofici, storici, letterari e scientifici non possano interessare anche gli adulti, che costituiscono dopotutto la quasi totalità degli abbonati del quotidiano online. Il risultato è che i “maestri” invitati (a eccezione di Canfora, Mieli e Pievani) si esprimono, né potrebbe essere diversamente, in un linguaggio non proprio divulgativo ma pseudo-specialistico, anche per non ridimensionarsi professionalmente in pubblico: inadeguato dunque per gli studenti e insufficiente per tutti gli altri. Un errore è nella durata, contenuta nella media di otto minuti, cosa che significa che in molti casi si ingenera confusione più che instillare nozioni in pillole. Ma l’errore maggiore è ideare iniziative simili, certamente meritorie, in occasione di impegni scolastici, mentre dovrebbero essere rese permanenti senza magari dare loro un target: tenendo fermo il principio che anche romanzi come “Robinson Crusoe” e “Huckleberry Finn” non richiedono un’età.
La figlia di Salvini? A cinque anni conosceva Giolitti e Salvemini
(25.6.25) Testimoniando come parte offesa al processo contro Saviano, Salvini ha riaffermato le ragioni della sua querela, portando a suo sostegno il male che nel 2018 il giornalista campano fece a sua figlia allora all’asilo. “Mia figlia – ha detto il ministro in tribunale – aveva cinque anni e lesse sui social queste affermazioni. Personalmente ritengo che per i miei figli qualche problema c’è stato”. Essendo figlia di un leader politico, è ovvio che una bambina si tenga aggiornata seguendo i social, sul telefono personale naturalmente, e legga le ingiurie rivolte al padre capendo benissimo che quella specifica motivo della querela, “Salvini ministro della malavita”, è una citazione di Gaetano Salvemini pronunciata contro il ministro Giolitti. Per questo la piccola ha subìto un trauma che si trascina da sette anni ed è giusto che il padre, così protettivo, non intenda rimettere la querela. Per lei è stato infatti assolutamente sconcertante che il proprio babbo possa essere stato accostato a Giolitti di cui ha letto tutto, così come di Salvemini. Bravo Salvini. E ancora più brava la figlia.
In Russia per soldi, il coraggio o la faccia di bronzo di Al Bano
(24.6.25) Al Bano, per incassare soldi e non certo per divulgare la pace, ha cantato a Pietroburgo con Iva Zanicchi e ha detto di Putin che conosce da decenni che è una persona perbene. L’ex moglie Romina Power ha definito inopportuno cantare “Felicità” in Russia e lui ha ribattuto che quella canzone è diventata un inno alla convivenza. Chi ha ragione? Lo scorso anno Pupo cantò a Mosca, nemmeno lui gratis e pro bono, intendendo portare, disse, un contributo alla pace. Parlare di canzoni in guerra richiama alla memoria la canzone storica dei soldati in guerra, la “Lili Marleen” che zittiva le armi al fronte e commuoveva sia alleati che tedeschi. Ma poi, se Berlusconi poteva sfoggiare senza scandalo la sua amicizia con Putin e se Salvini può posare davanti al Cremlino con una T-shirt stampigliata col volto del noto guerrafondaio, perché un cantautore italiano dovrebbe astenersi dal suonare il piffero al demonio se questo piffero infonde qualche speranza e mette un sorriso? Del resto, non è stato forse molto più grave, in tempi di Gulag e purghe, quanto fecero dirigenti e attivisti del Pci in religiosa processione a Mosca per viaggi di indottrinamento ritenuti un grande titolo di merito e motivo di vanto e onore?
La cultura mafiosa secondo Pif che posa a mafiologo
(21.6.25) In un’intervista Pif dice che militarmente la mafia è stata sconfitta in Sicilia ma che rimane la cultura mafiosa (voleva dire spirito), per dimostrare la quale porta l’esempio del professionista palermitano che cerca chi gli ha rubato la motoretta per riscattarla pagando. Il gustoso regista della serie Tv “La mafia uccide solo d’estate” – una parodia, niente di serio e di vero – dovrebbe fare il comico e astenersi dal posare a mafiologo. La mafia militarmente non va in guerra semplicemente perché non ha bisogno di uccidere giacché è più potente di prima e quanto alla “cultura mafiosa”, che sarebbe per lui connaturata nei siciliani, è una dimensione che la mafia (che non ruba certo motorette) neppure sa cosa sia. Infine il suo superbo corollario da intellettuale circa l’inutilità o meno della morte di Falcone: «Agli studenti dico che la risposta alla domanda su Falcone dipende da noi, se quando ci rubano il motorino diamo i soldi a chi ce l’ha rubato». Ci si augura che agli studenti non spieghi anche come fare a trovare il ladro, perché dà per scontato che qualsiasi palermitano sappia a chi rivolgersi. Caro Pif, magari la mentalità mafiosa fosse questa.
Atleti russi e bielorussi ritenuti al Roland Garros filo-putiniani
(7.6.25) Atleti russi e bielorussi al Roland Garros partecipano a titolo personale e non per i loro Paesi, che non sono citati nemmeno dai telecronisti e non possono esporre le loro bandiere: come se, tacendone e oscurandone la nazionalità, la perdano. Un totale infingimento e una stupida forma di ipocrisia. Non c’è atleta, uomo o donna, di Russia e Bielorussia che non si senta ancor di più patriota né c’è russo o bielorusso che non ti tifi per loro. Identificare uno Stato con il governo che lo regge significa ritenere che l’intera popolazione stia con il secondo, ma ancora peggio è portare la politica nello sport che per sua natura ne prescinde.
Quando due teenagers interpretano in un film se stessi
(24.5.25) I minorenni, soprattutto se adolescenti, vanno tutelati nella loro riservatezza (per cui in Tv e sulla stampa i volti sono oscurati) e tenuti distanti dai torbidi campi della sessualità che non sia educativa ma morbosa e di tipo erotico. Tale principio non vale però nel caso in cui, come nel film “Settembre” (due David di Donatello) di Giulia Steigerwalt, trasmesso in prima serata da Raitre il 10 novembre 2023 e disponibile a tutti su Raiplay, due quattordicenni vengano scelti per interpretare un ragazzino che insegna a una compagna di classe i fondamentali del sesso in vista della prima esperienza che lei è decisa a fare con un terzo amichetto. Sorge la domanda se siano i personaggi a esplorare in un processo di formazione la sfera sessuale oppure gli attori in prima persona, i quali perciò non interpreterebbero una finzione ma vivrebbero la realtà.
Come essere italiani di provincia a New Yoirk e a Londra
(10.5.25) Beppe Severgnini, ospite settimanale di Rtl 102,5, radio che si picca di avere otto milioni di ascoltatori al giorno, ha detto oggi con malcelato sussiego di conoscere molto bene Londra e tutta l’Inghilterra. Si dichiara dunque fratello di testa di Federico Rampini Rampini che non manca occasione, alla “tu vo fa’ l’americano”, per fare sapere esattamente dove abita a New York (meritandosi la satira di Crozza) e pur essendo italianissimo pronuncia i nomi Usa con l’accento dei suoi secondi connazionali. Sono entrambi punte del Corriere della sera oltre che scrittori di successo e sorprende scoprire come il più grossolano e corrivo provincialismo si possa ritrovare nel più affettato e lasco cosmopolitismo.
Il senso di Roberto Saviano per la democrazia
(5.5.25) Secondo Roberto Saviano (che per lanciare il suo ultimo libro su una storia di ‘ndrangheta ha rilasciato interviste confessando di sognare una vita libera, senza scorta: come qualsiasi re che però non rinuncia al trono) la differenza tra democrazia e regime è che nella prima si possono esprimere le proprie opinioni senza pagarne le conseguenze. Fu in base a questo principio che disse “bastarda” a Giorgia Meloni (e venne ovviamente condannato), convinto ancora oggi di essere stato nel giusto. La differenza vera è invece un’altra: in una democrazia è possibile diventare scrittori, ricchi e famosi propalando idee personali, molte incondivisibili, e posando a guru ierofantico.
Essere famosi dà il diritto di non avere rifiuti davanti casa
(4.5.25) Se si è famosi, personaggi e possibilmente in due, è legittimo rimuovere cassonetti dei rifiuti davanti casa e facile ottenere l’autorizzazione del Comune. Sergio Castellitto e la moglie Margaret Mazzantini non ne potevano più di gente che a tutte le ore buttava spazzatura nei contenitori davanti alla loro villa, ovviamente ai Parioli a Roma, e hanno pensato di rimuoverli. Dicono di essere stati autorizzati perché occupavano suolo pubblico – come se possano esistere al mondo cassonetti in suoli privati – e che ha provveduto il servizio comunale alla rimozione: solo che i cassonetti non sono più tornati dov’erano prima o nei pressi, con più che legittima protesta dei residenti né famosi né personaggi.
Quando er venticello de Roma diventa un prodigio divino
(27.4.25) È del tutto naturale che in primavera a Roma soffi un tipico “venticello” in una fresca mattinata di sole. Ed è altrettanto naturale che posando un libro aperto su un piano le pagine si alzino e pieghino per effetto proprio della brezza. Eppure per la seconda volta, al funerale di un papa, giornali e televisioni hanno sublimato quell’evento semplicemente fisico (che si sarebbe avuto anche se al posto del Vangelo ci fosse stato Topolino) in un simbolo se non anche in un miracolo. Gratta gratta il contemporaneo e viene fuori il medievale. Il maestoso rito funebre, gravido com’è stato di palpitanti echi secenteschi, di una Chiesa che è meglio non ricordare troppo, si è esaltato in un insignificante alito di vento che dovrebbe far riflettere molto sulla persistenza nella coscienza cattolica – e italiana in particolare – di retaggi oscurantisti e di ottuse superstizioni.
Ma oggi è la Giornata della liberazione dal o del fascismo?
(25.4.25) Oggi l’Italia ricorda (e per molti festeggia) la Liberazione: senza avere, dopo ottant’anni, stabilito ancora se si è liberata “dal” fascismo o “del” fascismo. Giornali, radio e tv usano indifferentemente entrambe le preposizioni articolate alimentando la confusione anche storica. Si tratta di visioni antitetiche: liberarsi dal fascismo implica un’idea di fascismo visto come corpo estraneo che temporaneamente ci soggioga, mentre liberarsi del fascismo suppone che esso sia parte del tessuto connettivo del Paese. Un conto, per esempio, è dire “liberarsi dal demonio” e un altro “liberarsi del demonio”: nel primo caso Satana è un’entità che ci possiede ma rimane esterna, nel secondo fa parte della nostra natura umana. Ci liberiamo da ciò che ci domina e ci liberiamo di ciò che ci appartiene. Ora, se è vero – ed è vero – che il Ventennio è stato una parentesi storica senza antecedenti né finora replicazioni, il 25 Aprile celebra un atto di affrancamento da un potere esterno ed estraneo che come tale appartiene al suo tempo e non può più ripetersi nelle stesse forme. Pensare invece che il fascismo sia connaturato nella coscienza nazionale è come chiamare sanculotti gli operai o ghibellini gli evangelisti.
Un leader politico non legge i siti web ma i giornali stampati
(17.4.25) Dopo l’intervento al cuore, i bollettini medici hanno attestato che l’indomani il presidente della Repubblica Mattarella ha fatto colazione e letto i giornali. Naturalmente il capo dello Stato ha uno smartphone sul quale può vedere i siti web ed è dunque certo che prima dei giornali abbia letto le notizie sul telefono, sia pure quelle delle testate più importanti. Come del resto facciamo tutti. Ma oggi l’informazione informatica non ha ancora la statura di quella stampata e mediatica, per cui dovrà passare ancora molto tempo prima che un comunicato ufficiale riferisca di un leader che legga i siti.
La morte del papa a Pasquetta. Che annuncio è?
(21.4.25) Non c’è credente che, appresa la scomparsa di Francesco, non si sia chiesto perché Dio lo abbia prima messo davanti alla morte, poi risanato al punto da far dire che andasse ristabilendosi a vista d’occhio e infine ne ha deciso la morte improvvisa. L’Onnipotente ha voluto che arrivasse al giorno di Pasqua in condizioni fisiche tali da poter impartire la benedizione e attraversare Piazza San Pietro? Ha scelto di fargli pronunciare l’ennesimo appello alla pace e al disarmo? Se fosse deceduto domenica di Pasqua, giorno che celebra la resurrezione di Cristo, l’impressione del mondo cattolico sarebbe stata incontenibile. Essendosi nondimeno avuta a Pasquetta, la morte dul papa assume il significato di un annuncio, quello nella mistica cristiana dell’angelo che rende nota la resurrezione. Nell’attuale momento di grande incertezza, occorre chiedersi se l’annuncio sia di una buona o cattiva novella.
Un leader politico non legge i siti web ma i giornali stampati
(17.4.25) Dopo l’intervento al cuore, i bollettini medici hanno attestato che l’indomani il presidente della Repubblica Mattarella ha fatto colazione e letto i giornali. Naturalmente il capo dello Stato ha uno smartphone sul quale può vedere i siti web ed è dunque certo che prima dei giornali abbia letto le notizie sul telefono, sia pure quelle delle testate più importanti. Come del resto facciamo tutti. Ma oggi l’informazione informatica non ha ancora la statura di quella stampata e mediatica, per cui dovrà passare ancora molto tempo prima che un comunicato ufficiale riferisca di un leader che legga i siti.
Piperno e la critica ufficiale che “non ne azzecca una”
(15.4.25) Commentando Mario Vargas Llosa appena scomparso, Alessandro Piperno scrive sul Corriere della sera a proposito di un suo romanzo che dice di aver letto almeno una mezza dozzina di volte: “Alla critica ufficiale non piacque quella commedia romantica, impudica, di spudorata ascendenza autobiografica, ma si sa: la critica ufficiale non ne azzecca mai una”. Deve aver ricordato un altro libro e soprattutto deve aver proprio rimosso un caposaldo del mondo letterario nazionale, dalla sua Mondadori in giù: e cioè che proprio lui è unanimemente riconosciuto un principe della critica ufficiale. Accademica e militante. Nondimeno ha detto la verità.
Il segreto del femminicidio è l’accanimento
(9.4.25) Dopo la sentenza della Corte d’assise di Venezia al processo Turetta, l’assassino di Giulia Cecchettin, sappiamo che tutti i femminicidi consumati con un solo colpo o pochi altri di coltello sono stati opera di uomini esperti e abili. La motivazione dei giudizi è infatti chiara: “Si ritiene che l’aver inferto 75 coltellate non sia stato per Turetta un modo per infierire con crudeltà o per fare scempio della vittima, ma conseguenza dell’inesperienza e dell’inabilità”. Dunque non è stata furia bestiale, raptus omicida, voglia di vendetta e punizione, ma solo incapacità di azzeccare il colpo mortale. Di conseguenza l’assassino di Sara Campanella a Messina, che ha sferrato appena cinque coltellate, è un mostro di bravura, ancora più perché al suo primo femminicidio. Insomma la morale della sentenza suggerisce di accanirsi quanto più sulla vittima: più colpisci e meno galera ti fai.
Giornalisti e politici, che miseria. L’ultimo miserabile è Guzzanti
Guzzanti come Fede e Micciché: potessi avere 10 mila euro in tasca
(4.4.25) Paolo Guzzanti come Emilio Fede. Anzi peggio, perché il secondo ha chiesto l’elemosina allo Stato, mentre il primo ha scritto agli amici racimolando cinquemila euro quando, come ha replicato indignato Vittorio Feltri, guadagna migliaia e migliaia di euro tra pensione, vitalizio e collaborazioni. In un’intervista, mettendosi in piazza, Guzzanti ha rivelato di avere solo 14 euro sul conto, sicché i casi sono due: o mente o dilapida gli ingenti guadagni che introita ogni mese. Chissà perché sono sempre i politici a piangere miseria, cioè i più ricchi. Il siciliano Micciché si lamentava di non potercela fare ad arrivare a fine mese con quattromila euro e Fede ha poi fatto sapere che ottomila non gli bastano tra camerieri e autisti. E Guzzanti? Che fa dei soldi? Ha ragione Feltri a dire, conoscendolo da sempre, che è troppo abituato al lusso? Giornalisti che vivono nel lusso? Sembra un paradosso, ma dopotutto lo stesso Feltri ha più volte ammesso di esserlo diventato. Grazie a Berlusconi, ha precisato. Ma questa è un’altra storia.
Gian Antonio Stella, la cattiva stella dei siciliani
(31.3.25) Gian Antonio Stella è un giornalista del Corriere della Sera, autore anche di libri-inchiesta e di denuncia anche politica. Negli ultimi tempi si è amminchiato con la Sicilia, andando a caccia dei suoi mali vecchi e nuovi, nella consapevolezza fondata di aver trovato un filone inesauribile. L’ultima crociata l’ha intentata oggi contro la penuria di acqua nell’isola, male vecchio, anzi endemico. Ha scoperto l’acqua calda additando le sfere politiche di mancanze e incompetenza, perché non c’è siciliano che non ne abbia assoluta contezza. Ma perché la sua iniziativa non appaia ai siciliani accanimento giornalistico, esercitato col gusto di disprezzare una terra la cui sola storia plurimillenaria merita almeno rispetto, riuscirebbe loro gradita ogni tanto una pagina di buone cose: così, tanto per rompere la routine, anche perché in Sicilia è facile passare per iettatori se non si sparge che veleno. Non ci vuole niente a diventare da buona Stella una cattiva da esorcizzare.
Di Martino, un gesto sacrilego ripetuto per la seconda volta
(27.3.25) Per la seconda volta stasera Stefano Di Martino, conduttore di “Affari tuoi”, ha calpestato, distruggendolo, un amuleto chiamato “Daruma” che per la fede giapponese buddista rappresenta un simbolo tradizionale e sacro che ricorda il fondatore del Buddismo zen. Si tratta di una bambola votiva portafortuna modellata a immagine del fondatore del Buddismo, il cui nome, Bodhidharma, in sanscrito si pronuncia proprio “Daruma”. L’equivalente nella religione cristiana è la Croce e quel che ha fatto il presentatore napoletano varrebbe il gesto di un giapponese che in televisione, in prima serata, calpestasse il nostro simbolo più caro e sacro. Stasera, riportando in studio l’amuleto, sembrava che Di Martino volesse fare ammenda e trattarlo con il rispetto che merita. Invece lo ha distrutto sotto i piedi, con tanto di primo piano e applauso del pubblico. Il problema non è Di Martino, che in sostanza è un ballerino di “Amici”, ma la Rai che permette tali forme di vilipendio e di offesa.
Roberto Benigni, il ritorno del predicatore di parte
(20.3.25) Prima faceva ridere, oggi vuole fare solo piangere. Di commozione. Ma lo fa anche per la delusione. Roberto Benigni si è fatto una carriera – e una fortuna – come comico e oggi vanta una posizione di predicatore e demagogo che tutti i leader politici non possono che invidiargli. Ieri sera su Raiuno si è esibito per tre ore filate in quello che ha chiamato “spettacolo”, in verità una tirata camuffata da lectio magistralis, frutto di una scrupolosa ricerca su Internet operata da un ragioniere dotato della buona volontà dell’autodidatta. Sentire un comico triste parlare di Dante senza essere un letterato, di Costituzione senza essere un giurista, di storia senza essere uno studioso è come fare la spesa al mercato pretendendo di trovare prodotti di qualità. Parlare in diretta del Manifesto di Ventotene solo a poche ore dalla bagarre inscenata alla Camera è stata una scelta politica molto discutibile e certamente evitabile, perché intesa a prendere posizione a favore dell’opposizione. Non a caso, nemmeno a metà dell’intemerata, sul sito di Repubblica è apparsa in massima evidenza la notizia della sua condanna pronunciata contro la Meloni (che l’ha detta grossa, ma l’ha fatto in Parlamento da persona legittimata). L’unica cosa della serata che ha fatto ridere.
Una Santanché vale per Meloni tanta impopolarità?
(26.2.25) Con il suo show (sonoramente fischiato in Senato e sgradito pure ai ricchi) la ministra Santanché ha ottenuto la fiducia dell’Aula e la sfiducia totale degli italiani. Parlare e vantarsi di collezioni di borse, tacchi a spillo, abiti firmati in un luogo dove è rappresentata una popolazione la cui stragrande maggioranza, quella elettoralmente decisiva, entra ed esce dall’Isee è una bestemmia. Ma davvero alla Meloni giova di più difendere un membro di governo certamente non insostituibile pagando un prezzo altissimo di popolarità? Con la nuova fiducia accordata alla Santanché la maggioranza ha sostituito la ministra nel giudizio dell’opinione pubblica e nella sua esecrazione. E Meloni ricorda Johnny Stecchino che ruba una banana e viene deplorato in teatro, dove si chiede quanto costi una banana a Palermo. Appunto, quanto vale una Santanché a Roma?
Montalbano, Angela e l’orchestra… dei suonatori a Tindari
(17.2.25) Alberto Angela si è voluto occupare di Montalbano cercando anche in lui il curioso, il sensazionale e il pittoresco, gli elementi cioè con cui prepara ogni sua trasmissione. Ma si è capito bene che conosce molto poco Camilleri e lo stesso Montalbano. Secondo lui – e secondo una vulgata ormai superata – lo scrittore vedeva il commissario nelle sembianze di Pietro Germi, mentre è noto che nell’aspetto (baffi, corporatura tarchiata, capelli neri e folti) lo riconosceva in un docente sardo, al quale, incontrandolo, disse: “Lei è il mio Montalbano”. E se ha fatto ridere tutti gli studenti dicendo, in visita al teatro greco-romano di Tindari, che l’orchestra era lo spazio riservato ai suonatori, quel che ha fatto Angela è il racconto non del Montalbano di Camilleri, cioè quello letterario, ma di quello televisivo della serie Tv, tutto ragusano e sironiano-zingarettiano. Se avesse letto i romanzi e agito in coerenza a essi, avrebbe reso un servizio all’autore e al pubblico dei lettori (che solo in scarsa percentuale sono anche telespettatori), evitando peraltro l’ennesimo stucchevole panegirico della Rai.
Sanremo è Sanremo e Vannacci è diventato il suo grande profeta
(14.2.25) Sanremo è come la nave Rex del film “Amarcord” di Fellini: una realtà magica da guardare mentre passa lontana. Una fantasmagoria di luci e colori da contemplare come un fuoco pirotecnico, sapendo che è tutto lì. Uscita dalla visuale non lascia niente. Sanremo è un circo che offre numeri anche spettacolari a un pubblico senza grandi pretese e perciò di massa. Sono pronto a scommettere che, dovendo scegliere a cosa rinunciare tra Mondiali di calcio e Sanremo, l’Italia farebbe pollice verso al pallone. Perché “Sanremo è Sanremo”, ovvero innanzitutto casalinghe, mogli nostalgiche con figlie sognanti, eterne fidanzate, irriducibili boomers che amano i ritornelli alla “dirige il maestro” ma anche semel in anno mise e coiffure invece dei quotidiani outfit e hair setting cui abituano le solite trasmissioni televisive. Una volta l’anno si va a vedere il transatlantico, insomma. E se ci va il più machista degli italiani, il Vannacci persecutore proprio dei modelli sanremesi, allora il Festival, è certo, vivrà nei secoli dei secoli.
La Sicilia dei cliché di Dolce&Gabbana più altri
(10.2.25) La sfilata parigina di Dolce&Gabbana intitolata “Le Siciliennes” voleva essere un omaggio, almeno da parte del palermitano Dolce, alle donne siciliane e si è tradotta in una parodia. Si vede proprio che Dolce non conosce più la Sicilia e quella che si è portata ne è solo un simulacro. Secondo lui l’immagine invalente suggerisce la donna in nero, con il rosario in mano, gli orecchini buoni, un crocifisso prezioso al collo, uno scialle vistoso e una cascata di pizzi e merletti. Si tratta di ricordi personali che appartengono a un’altra epoca, che forse è stata un’epopea, ma che non c’è più. La tengono oggi in vita, questa Sicilia dove il nero del lutto viene spacciato da Dolce per simbolo di eleganza, registi – siciliani – come Andò e Tornatore, cantanti quali Carmen Consoli a Levante, scrittrici come Alessia Gazzola e Cristina Cassar Scalia: tutti begli ingegni che hanno lasciato l’isola. Perpetuano il credo secondo cui si può strappare un siciliano dalla Sicilia ma è impossibile strappare la Sicilia da un siciliano. E va bene così, ma una rinfrescatina ogni tanto no?
L’ultimo gol della Meloni: non andare in Parlamento
(7.2.25) Se Giorgia Meloni fosse andata in Parlamento a riferire sul caso Almasri avrebbe confutato le ragioni stesse per le quali ha invece scelto il silenzio. E sono “ragioni di Stato”, attenenti cioè a decisioni contrarie anche al diritto positivo e alla “buona politica”, ma necessarie per perseguire obiettivi superiori a quelli che si presentano come insuperabili. Tutti gli Stati si servono, da sempre, di “Servizi” che sono chiamati “segreti” perché realizzano scopi sporchi da non divulgare né tali da doversene fare un merito. Ma senza questi organi, cui è ben chiaro come il fine giustifichi i mezzi, le guerre nel mondo sarebbero molte di più, così come gli attentati terroristici, le regioni destabilizzate e i governi precari. Richiesta di dare spiegazioni, la premier avrebbe dovuto rivelare atti e fatti che devono rimanere riservati, anche all’estero, e per i quali il governo si assume per il patto che stringe con l’elettorato ogni responsabilità. Sicché i ministri Nordio e Piantedosi avrebbero a loro volta dovuto evitare la gogna parlamentare alla quale sono stati sottoposti. costretti a non poter dire tutta la verità, hanno finito per propinare versioni ufficiali e quindi contradditorie. L’opposizione li ha insultati al grido di “vergogna”, sperando che “vuotassero il sacco”, così da accusarli poi di essere incapaci di stare al governo, nel quale è richiesta fermezza e determinazione. Avrebbero voluto al loro posto la Meloni per fare un colpo più grosso, ma la premier ha dimostrato di sapere stare eccome in un governo.
Montecristo, una serie Tv da intuire più che da seguire
(4.2.25) Da premio Troisi la battuta di Crozza sulla Costituzione. L’hai letta? No, aspetto il film. Nella logica di chi li conosce solo per sentito dire o per titoli, la trasposizione cinematografica dei grandi romanzi equivale alla loro lettura, senza però la fatica che essa richiede. Ha fatto dunque bene chi non ha letto Alexandre Dumas e ha aspettato la serie Tv di Raiuno per conoscere la storia del conte di Montecristo? Il telespettatore soddisfatto e plaudente farebbe bene a chiedere a chi il libro lo ha invece letto per scoprirne la profonda delusione, se mai abbia ceduto alla debolezza di seguire lo sceneggiato. Non potendosi mantenere la ricchezza di un romanzo, ogni adattamento televisivo comporta una riduzione e quindi necessarie modifiche, ma nella foga di restringere si finisce per avere una storia revisionata. Così è stato per la serie Rai, talmente condensata da costringere lo spettatore a fare uno sforzo di intuizione per capirne l’intreccio. Un grande caso come quello architettato da Dumas Figlio – dell’ingiustizia e poi della vendetta – più psicologico che d’azione o di avventura, meritava uno svolgimento in ben più di quattro puntate, così da rendere credibile – e comprensibile – il macerante processo di rivalsa che tormenta Dantès. La serie Tv ne ha fatto piuttosto un fin troppo serioso bellimbusto invischiato in trame aggrovigliatissime e animato dai propositi di ritorsione più sottili, eccessivi e improbabili.
All’irriducibile ministra basterebbe una parolina di Mattarella
(1.2.25) La ministra Santanché ribadisce che non si dimetterà e perciò non risponde neppure ai giornalisti che le chiedono perché. Comprensibile che una imprenditrice senza arte ma molto di parte, difenda l’ultimo investimento intrapreso tra i tanti, il solo di successo. Ed è pure comprensibile che, per ragioni di partito, Meloni e amichetti di maggioranza le facciano per ora quadrato: anche per non cedere alla magistratura nemmeno questo fianco, ancorché quasi caduto, della guerra appena riaccesa contro il potere giudiziario. Persino comprensibile appare l’intemerata di Bruno Vespa, pur se, volendo stigmatizzare l’opposizione, ha ammesso che il governo Meloni fa “cose sporchissime”, il contrario di quanto dice la sua beniamina premier. Ciò che non appare invece comprensibile, giacché la posizione della Santanché è davvero indifendibile e, per la sola tracotanza mostrata nel considerare il mandato ministeriale un potere acquisito, sarebbe impallinata da un referendum popolare, si mostra il silenzio della sola autorità statale che possa indurre la ministra a mollare la poltrona: il presidente della Repubblica. Il quale, potendo ben osservare, soltanto e non di più, che nessun governo può avere ombre, neppure quelle gettate dai propri nemici in agguato, tace per non apparire dalla parte di Pd e compagni. Sbraitando, l’opposizione ha perciò legato le mani, anzi tappato la bocca, a Mattarella. Ma a chi se non a lui spetta il compito di vigilare sulla trasparenza, la buona condotta e la pulizia di un governo da lui stesso legittimato? Non lo fa per non sporcarsi le mani con la politica? Qui però non è in ballo una posta elettorale o un punto di consenso da guadagnare o perdere, bensì un principio inviolabile: la probità del governo. Checché ne dica Vespa (che la sera successiva ha invitato a “Cinque minuti” lo psichiatra Vittorino Andreoli per avere innanzitutto spiegato cos’è l’ira: la propria), un governo fa sempre “cose pulitissime” e lascia che ai panni sporchi ci pensino altrettanti servitori dello Stato nascosti, loro sì, nell’ombra, ma che non devono rispondere direttamente ai cittadini dello stesso Stato.
Hai urgenza di un plico postale? Mai con Raccomandata 1
(28.1.25) Succede in Italia a chi si fida dello Stato e dei suoi apparati. Avendo immediato bisogno di certi documenti personali, concordo con il mittente, su sua infelice proposta, la spedizione con la modalità “Raccomandata 1” che non conoscevo. Prevede la consegna per il giorno dopo. Beh, ottimo, mi dico. Sono salvo. Poste Italiane è sempre Poste Italiane, giubilo. L’indomani per tutta la giornata mi apposto fiducioso alla finestra aspettando il portalettere e non uscendo di casa. Pranzo pure in piedi con gli occhi sul piatto e sulla strada. E non mi accorgo che il postino è passato davvero ma se ne è andato, lasciando nella buca delle lettere un avviso di giacenza. Evidentemente ha trovato comodo farla spiccia, piuttosto che percorrere con questo caldo una decina di metri per raggiungere il citofono di casa, aspettare la mia firma sotto il sole e tornare indietro. Comprensibile, dai, siamo umani. Quando nel tardo pomeriggio trovo il foglietto tipo scontrino della Conad mi dico “Poco male, vado alla Posta, importante è che è arrivato”. L’impiegato mi chiede se so leggere, perché in tal caso l’avviso è chiaro: prima di prendere il tagliandino di prenotazione – e impegnare uno sportello sottraendo tempo agli altri utenti – occorre applicare sul totem il codice a barre che c’è sull’avviso per controllare se il plico è giacente ed è dunque in ufficio. E dove dovrebbe essere se è stato poco prima in mano al postino? In magazzino, risponde l’addetto. Dunque esiste un magazzino dove il portalettere è tenuto a depositare le Raccomandate 1 non recapitate, che per quanto costano dovrebbero piuttosto indurlo ad aspettare il destinatario davanti casa fino alla consegna. Va bene. Mi dica dov’è il magazzino e ci vado io, faccio all’impiegato. Non può, ribatte lui, lei deve seguire le indicazioni che trova nell’avviso. Ma io ho urgenza di avere il mio plico, protesto. Mi dispiace, è la procedura, mi fa. Manco a Langley. Io non ho interrogato il totem, spiego, perché in passato ad ogni avviso di giacenza ho provveduto a ritirare la posta andando allo sportello. Sì, ma per la Raccomandata 1 è diverso. Pensavo che dovesse essere diverso nel senso che si possa avere più facilmente, invece no. Posso richiedere però un tentativo di riconsegna, mi dice l’impiegato. È chiamato giustamente “tentativo” perché Poste Italiane non dà nulla per scontato. Ok, dico, facciamo il tentativo. Eh, no. Il tentativo devo farlo io telefonando al numero che compare sull’avviso. Vado via e lo compongo. Mi risponde un operatore automatico il quale mi chiede, dopo mezza dozzina di opzioni da superare e tanti salamelecchi, se voglio richiedere un tentativo di riconsegna. Sì dico, di che stiamo parlando. La risposta che mi dà l’Intelligenza Postale è che il mio appuntamento è fissato per giorno 17, cioè dopo ben otto giorni. Alla faccia dell’urgenza. Va be’, l’operatore automatico è sicuramente ubriaco, penso. Richiamo e riesco a parlare non so come con un’operatrice umana del tutto savia, alla quale dico che volevo una riconsegna e mi è stato dato un appuntamento. “Esatto” mi dice, “e una volta avuto l’appuntamento, il tentativo di riconsegna non è più possibile. Deve aspettare giorno 17 e recarsi comodamente allo sportello per ritirare la sua raccomandata”. Tanto savia, penso, non mi pare proprio una che risponde così. Il 17 arriva e all’ufficio postale apprendo, dopo dieci minuti di laboriose ricerche telematiche, che l’agognata busta giacente in magazzino è finalmente tornata. E dov’era esattamente il magazzino? A due chilometri. Sono andato via perplesso e con qualche domanda terra-terra, ma con il mio pacco (a parte quello che mi hanno fatto). Perché il plico non mi è stato consegnato in casa? Perché non è stata tentata automaticamente la riconsegna (cosa ovvia trattandosi di una raccomandata urgente) anziché obbligarmi a chiederla? Perché il plico è andato in un fantomatico e inaccessibile Magazzino e non subito alla Posta dove avrei potuto averlo in giornata? Perché dal magazzino all’ufficio postale sono trascorsi otto giorni, pur essendo vicinissimi? E soprattutto: perché non ho controproposto al mio mittente un servizio di recapito privato invece di affidarmi alle borboniche protocollari e burocratiche Poste Italiane?
Cecilia Sala e la retorica dell’esaltazione
(9.1.25) Al frastornante coro nazionale dei laudatores di Cecilia Sala, dai maggiori giornalisti italiani (Calabresi e Cerasa in testa) eletta al rango di reporter di primissima grandezza, si è unito off course anche Massimo Gramellini, che sul “Corriere della sera” ha ricordato quando in una sua trasmissione televisiva si collegò con la Sala a Kiev qualche giorno prima dell’invasione russa e le chiese cosa l’avesse colpita di quanto aveva trovato. “Mi hanno colpito gli anziani nelle campagne che girano i cartelli stradali per ingannare i carrarmati russi e i bambini che preparano bottiglie incendiarie da lanciare dai balconi” fu la risposta. Il commento di Gramellini sul giornale: “Per riuscire a cogliere queste istantanee di vita al primo sguardo occorrono occhi curiosi e una testa lucida sgombra di pregiudizi”. Un altro in onda le avrebbe invece detto: “Scusa Cecilia, ma i russi non usano telefonini muniti di navigatore? E i bambini hanno studiato a scuola o a casa come si preparano bottiglie molotov, che non è esattamente come fare una casetta con i Lego?”. Possiamo dirlo allora che la risposta data dalla Sala fu non solo una stron(…)ta ma anche di una banalità pari alle prime parole ufficiali, riportate come frase storica dai giornali di mezzo mondo, all’arrivo a Ciampino: “Rompo il protocollo se fumo una sigaretta?”. No, avrebbero dovuto dirle innanzitutto padre e madre, ma visto che per venti giorni non hai fumato, continua ad astenerti e ti togli il vizio, no? La liberazione di Cecilia Sala è diventata motivo di una retorica dell’esaltazione che ha unito l’Italia anche in Parlamento, ma resta una domanda: quale giornalista nemmeno trentenne, di belle speranze, con soldi propri o di papà da spendere in viaggi tipo Erasmus e senza uno straccio di contratto, non si farebbe rinchiudere anche tre mesi nel carcere speciale degli ayatollah per poi sbarcare a Ciampino con tutti gli onori, davanti alle telecamere e sotto gli occhi del mondo per potere dire. “Ciao, sono tornata”? E aggiungere magari: “Si accettano proposte”.
Craxi sfidò gli americani, Meloni dice “Obbedisco”
(2.1.25) C’ero l’11 ottobre 1985 all’aeroporto di Sigonella dove atterrò l’aereo egiziano con a bordo il terrorista Abu Abbas, coinvolto nel sequestro dell’Achille Lauro. Washington fece atterrare l’aereo nella Base Nato con l’ordine alla Delta Force di catturarlo. Prima che l’aereo egiziano arrivasse furono informati alcuni giornalisti: non dagli Usa ma dalle autorità italiane, segno evidente che non si voleva nascondere nulla all’opinione pubblica. Quanto avvenne fu così testimoniato al mondo. I carabinieri, su disposizione arrivata dal presidente del Consiglio Craxi, circondarono l’aereo nel proposito di impedire alle teste di cuoio Usa di tentare un assalto. Le forze speciali americane a loro volta e in numero maggiore circondarono i carabinieri e si misero in attesa di un ordine per aprire il fuoco. A loro volta i carabinieri impugnarono le armi e si tennero pronti a rispondere al fuoco. Dopo mezza giornata sotto il sole caldo gli uomini della Delta Force si ritirarono e così pure i carabinieri che mostrarono determinazione, coraggio e assenza assoluta del benché minimo timore riverenziale nei confronti della superpotenza. Apprendemmo dopo che Washington aveva preteso la consegna e l’estradizione immediata e che Craxi aveva opposto un secco no: il sequestro della nave da crociera era avvenuto in acque italiane e i responsabili sarebbero stati giudicati secondo le nostre leggi. L’aereo poté dunque decollare con i suoi terroristi alla volta di Roma e il governo Craxi poté mostrare a Ronald Reagan il duro i propri attributi. Trentanove anni dopo, in un altro aeroporto, stavolta tutto italiano, Malpensa, l’ingegnere iraniano Mohammad Abedini, accusato dagli Usa di aver sottratto in territorio americano componenti elettronici e di lavorare per il governo degli ayatollah, è stato arrestato lo scorso 19 dicembre solo sulla base di una richiesta, perentoria, di Washington alla quale il governo italiano ha risposto subito “Obbedisco”. Nessuno ne avrebbe saputo niente se i famigerati ayatollah non avessero aguzzato l’ingegno e risposto con la stessa spregiudicatezza, arrestando lo stesso giorno in un qualsiasi albergo, bastando sfogliare le presenze degli italiani nella capitale, la giornalista free lance Cecilia Sala, accusata genericamente di aver violato le leggi islamiche e proposta per uno scambio con Abedini. Il cui arresto è così diventato di dominio pubblico, ma senza suscitare alcuna reazione, né politica né giornalistica né sociale, delle sempreverdi “guardie nazionali” poste a difesa della nostra democrazia e dell’integrità dei principi di libertà e di giustizia. Nella mai abbastanza vilipesa Prima repubblica ci fu un premier, destinato peraltro alla damnatio memoriae, capace di opporsi anche militarmente al potentissimo e tracotante alleato alzando la bandiera italiana a una vetta mai raggiunta dopo Vittorio Veneto, mentre nella fin troppo celebrata Seconda Repubblica del “nuovo che avanza”, un cittadino straniero è stato arrestato in territorio italiano dalle forze di polizia su ordine di uno Stato straniero e su mandato internazionale di una corte di Boston.